domenica 20 luglio 2025

Persone medicina” o persone proiezione

 



Riflessione sulla responsabilità affettiva, la cultura della guarigione e il ruolo della cura professionale

Negli ultimi anni, sia sui social che nel mondo della spiritualità, della crescita personale e persino nella narrativa televisiva ed editoriale, sta emergendo con forza il concetto di “persona medicina”.
Una figura idealizzata, spesso descritta come capace – con la sola presenza – di “curare” le ferite emotive degli altri.

È un’immagine suggestiva, che risponde a un bisogno autentico: essere visti, accolti, compresi.
Ma come psicologo e educatore sessuale, mi interrogo su dove questa narrazione stia portando il discorso pubblico sul benessere mentale ed emotivo.

Quando la persona "cura"... ma non dovrebbe

In molti casi, più che di “persone medicina”, sarebbe più onesto parlare di “persone proiezione”: individui su cui carichiamo aspettative di salvezza, desideri profondi e irrisolti, nel tentativo – spesso inconsapevole – di non sentire la nostra vulnerabilità o inadeguatezza.

In questo scenario, anche la figura del caregiver – familiare, partner, amico che offre sostegno quotidiano – rischia di essere investita di un ruolo che non può e non deve sostenere: quello del terapeuta, del medico, del guaritore.
Il caregiver è una figura preziosa, umana, vicina.
Ma non può sostituirsi a chi è formato professionalmente per affrontare, contenere e trattare la sofferenza psichica fisica o relazionale.

L’amore non è una terapia

Spesso si confonde l’intensità emotiva o la connessione profonda con la possibilità di guarire l’altro.
Ma la cura – quella vera – non è un gesto romantico. È un processo clinico, faticoso, delicato, che richiede strumenti tecnici, supervisione, responsabilità etica e confini chiari.

Quando l’altro viene investito del compito di “guarirci”, si rischia di trasformare la relazione in una dinamica di dipendenza affettiva. E chi si trova “a curare”, spesso senza volerlo, può finire esausto, svuotato, oppresso da una missione impossibile.

La vera responsabilità? Cercare gli strumenti giusti

Le relazioni sane possono avere un potere trasformativo. Possono sostenere, motivare, nutrire.
Ma aiutare non è guarire.
E il primo passo verso una vera guarigione è riconoscere il proprio bisogno e chiedere aiuto ai professionisti giusti.

Psicologi, medici, personale sanitario: queste sono le vere “persone medicina”.
Non perché “salvano” o “curano con la presenza”, ma perché sono formati per farlo, perché conoscono le dinamiche profonde della sofferenza e sono in grado di accompagnare le persone dentro percorsi strutturati, sicuri e realistici.

In conclusione

La cultura della guarigione – oggi alimentata anche dalla TV, dai libri e dai social – ha il merito di aprire un dialogo sul dolore e sulla vulnerabilità. Ma va guidata con senso critico.

Non romanticizziamo il dolore.
Non trasformiamo l’amore in terapia.
Non carichiamo il prossimo del compito di guarirci.

Prendersi cura di sé è un atto di responsabilità.
E quando serve, il gesto più amorevole che possiamo fare verso noi stessi è affidarci a chi ha le competenze per accompagnarci davvero.

Le relazioni non sono medicine. La cura vera ha strumenti, confini e competenze.

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