Una volta il conflitto si esprimeva con la voce, ora si gestisce con il silenzio.
Nel passato, litigare significava coinvolgersi emotivamente, mettersi in gioco, anche urlando. Oggi, il conflitto si manifesta attraverso l’evitamento: non rispondere ai messaggi, sparire, esercitare il potere attraverso l’assenza. È il ghosting come strategia di controllo emotivo.
Una volta si aspettava un segnale fisico, oggi si cerca una traccia digitale.
Attendere i passi sulle scale implicava attesa, presenza, relazione con il tempo. Ora si controlla compulsivamente l’"ultimo accesso", come se un dato virtuale potesse colmare il vuoto della vicinanza fisica. È l'illusione del contatto senza connessione reale.
Una volta il contatto era un’esperienza corporea, oggi è mediato da uno schermo.
Andare al cinema per tenersi la mano era una ritualità affettiva. Guardare un film “insieme” ma a distanza, commentando via chat, riflette una relazione mediata e frammentata. L’intimità è diluita, trasformata in messaggi e emoji.
Una volta l’emozione si affidava alla scrittura, oggi si autocensura.
Scrivere “mi manchi” con la penna comportava vulnerabilità e intenzione. Oggi le parole vengono scritte, cancellate, mai inviate. È il timore del rifiuto, della non reciprocità, che induce all’auto-silenzio emotivo.
Una volta si prometteva continuità, oggi si negozia il tempo.
Il “per sempre” era una proiezione affettiva sul futuro, ora sostituita da un prudente “vediamo come va”. È l’amore liquido di cui parlava Bauman: relazioni reversibili, gestibili, contrattuali.
Eppure continuiamo a chiamare questo adattamento “progresso”.
Ma è solo un’evoluzione della forma, non della sostanza. Una perdita di presenza, di corporeità, mascherata da modernità. La nostalgia che si nasconde dietro l’efficienza tecnologica.
A volte, per ritrovare la connessione autentica, basterebbe poco.
Un gesto semplice, reale: un citofono, una salita a piedi, un silenzio condiviso. Ricordare che l’amore non è un algoritmo, ma una presenza. Un esserci, con tutto il corpo, nel tempo dell’altro.
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